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Corte di Cassazione: l’evento straordinario, quale il Covid-19, può rendere i contratti rinegoziabili

Con la Relazione Tematica n. 56 dell’8 luglio 2020 la Corte di Cassazione ha preso posizione in merito agli effetti che un evento straordinario ed imprevedibile, quale l’emergenza epidemiologica Covid-19, può generare sull’esecuzione dei contratti.

Nel cercare di concentrare in poche righe quanto dedotto dalla Suprema Corte, si potrebbe affermare che:

Il verificarsi di un evento straordinario e imprevedibile, tale da avere danneggiato almeno uno dei contraenti, comporta a carico dell’altra o delle altre parti, un obbligo di aderire all’invito a trattare la rinegoziazione delle condizioni contrattuali, al fine di individuare congiuntamente ed eventualmente concordare, se possibile ma comunque secondo correttezza e buona fede, nuove pattuizioni – eque per ciascuna di esse – e così riequilibrare l’economia del contratto”.

L’obbligo sancito dalla Cassazione, destinato ad avere un impatto di rilievo sui contratti rispetto ai quali la pandemia Covid-19 ha prodotto conseguenze sfavorevoli, deve essere comunque esaminato più approfonditamente, fermo restando che lo stesso, nei mesi a venire, sarà certamente oggetto di dibattito dottrinale oltre che giurisprudenziale, attraverso le pronunce dei Tribunali di merito.

1. Natura dell’obbligo di rinegoziazione.

L’onere di trattare la rinegoziazione del contratto costituisce un vero e proprio obbligo, al quale le parti non si possono sottrarre a pena di inadempimento sebbene, è bene precisarlo, la sua portata non è estesa fino ad onerarle a stipulare necessariamente nuove condizioni contrattuali.

La parte “invitata” dall’altro contraente alla rinegoziazione è quindi solo tenuta ad aderire all’invito e quindi a “sedersi al tavolo” con la controparte contrattuale, partecipando però attivamente e secondo buona fede alle trattative.

Sul punto, la Corte di Cassazione è chiara nel rilevare: “L’obbligo di rinegoziare impone di intavolare nuove trattative e di condurle correttamente, ma non anche di concludere il contratto modificativo. Pertanto, la parte tenuta alla rinegoziazione è adempiente se, in presenza dei presupposti che richiedono la revisione del contratto, promuove una trattativa o raccoglie positivamente l’invito di rinegoziare rivoltole dalla controparte e se propone soluzioni riequilibrative che possano ritenersi eque e accettabili alla luce dell’economia del contratto; di sicuro non può esserle richiesto di acconsentire ad ogni pretesa della parte svantaggiata o di addivenire in ogni caso alla conclusione del contratto, che, è evidente, presuppone valutazioni personali di convenienza economica e giuridica che non possono essere sottratte né all’uno, né all’altro contraente.”

2. Buona fede e correttezza.

L’intervento della Suprema Corte e l’onere a carico delle parti di rinegoziare il contratto, trae origine dai principi codificati agli articoli 1175 (debitore e creditore devono comportarsi con correttezza), 1337 (buona fede nelle trattative e nella formazione del contratto), 1366 e 1375 (interpretazione ed esecuzione del contratto secondo buona fede) del codice civile, principi dei quali la Cassazione ha così nuovamente enfatizzato una valenza generale.

I Giudici di legittimità hanno quindi sostanzialmente sottolineato l’esistenza di un generale onere di cooperazione tra le parti, espressione del principio solidaristico insito nei sopracitati articoli 1175  e 1375 del codice civile.

Alla stregua di quanto rilevato dalla Suprema Corte, il Covid-19 parrebbe quindi avere allargato la breccia, in parte già esistente, nella formalistica lettura della regola pacta sunt servanda codificata nell’art. 1372 c.c. (vincolatività del contratto tra le parti), determinandone un contemperamento con l’altro principio del rebus sic stantibus, qualora per effetto di accadimenti successivi alla stipulazione del contratto o ignoti al momento di questa o, ancora, estranei alla sfera di controllo delle parti, l’equilibrio del rapporto si mostri sostanzialmente snaturato.

Da ciò l’onere di “cooperare” in buona fede per rinegoziare il contratto e quindi riequilibrare l’economia del rapporto.

3. Le condizioni e la portata dell’obbligo di rinegoziazione.

La Relazione dei Giudici di Legittimità, invero, rileva che l’onere posto a carico delle parti di rivedere, secondo buona fede, le condizioni del contratto la cui esecuzione o i cui effetti sono stati travolti da un evento straordinario non è tuttavia assoluto.

Affinché una parte possa invocare tale principio occorre infatti che:

  • l’evento verificatosi sia tale dal potersi ritenere straordinario e quindi imprevedibile dalle parti tenuto conto della natura del contratto e degli usi, quale in primis la pandemia Covid-19 in corso;
  • detto evento sia tale dallo stravolgere “il terreno fattuale e l’assetto giuridico-economico su cui è eretta la pattuizione negoziale” ossia, più in generale, quando l’economia del contratto rimane “sconvolta” da detti eventi eccezionali e imprevedibili. Nell’ambito della pandemia Covid-19, in sostanza, le conseguenze dell’evento, tra cui l’impatto dei provvedimenti governativi emergenziali, che hanno imposto la chiusura di molte realtà imprenditoriali, devono essere tali da aver inciso sull’equilibrio del contratto, ad esempio rendendo alcune condizioni negoziali eccessivamente gravose per almeno una delle parti (ad esempio le tempistiche di consegna e/o di pagamento).

Sebbene, come si è già precisato, l’obbligo di rinegoziazione sia inquadrabile principalmente nell’onere di intavolare le trattative secondo buona fede e correttezza, dal tenore dell’intervento dei Giudici di legittimità il raggiungimento di un’intesa bonaria è comunque assolutamente consigliabile.

Se da un lato la Cassazione ha evidenziato che il rifiuto all’avvio delle trattative, così come il consenso “di facciata” alla partecipazione alle trattative stesse, manifestato in sostanza al solo fine di scongiurare possibili conseguenze pregiudizievoli nel corso del successivo giudizio, è tale da configurare violazione dell’obbligo di rinegoziazione sopracitato e quindi un vero e proprio inadempimento, dall’altro lato ha rilevato, in breve, che il livello di “serietà” della trattative e le fasi in cui le medesime si sono sviluppate possono assumere un peso sensibile sul piano della decisione del Giudice, come sarà meglio appresso precisato, nell’eventuale giudizio conseguente al mancato accordo.

D’altra parte, se difatti è vero che, così come precisato anche nella disciplina concernente la mediazione, le eventuali conseguenze pregiudizievoli in tema di lite temeraria sono generalmente ricollegate ai comportamenti colpevoli della parte che rifiuta il tentativo di conciliazione o che partecipa al procedimento in “mala fede”, è oltretutto indubbio che la normativa, anche processuale, degli ultimi anni sia improntata al fine di favorire i c.d. “istituti deflattivi” del contenzioso, favorendo – e talvolta imponendo – un tentativo di dirimere la vertenza fuori dalle aule di giustizia, meglio se prima di impegnare la magistratura.

4. I presumibili effetti nell’ambito contenzioso.

In sostanza, pertanto, la Corte di Cassazione impone l’obbligo di invocare la rinegoziazione ed intavolare le trattative: qualora tuttavia non si dovesse raggiungere l’accordo la disputa approderà forzatamente davanti al Giudice.

Sul punto la Corte di Cassazione si è spinta ad individuare la portata dei poteri del magistrato al fine di verificare il puntuale rispetto del suesposto obbligo di rinegoziazione e quindi, in caso di violazione, della sua eventuale possibilità di sostituirsi alle parti medesime per riequilibrare il rapporto contrattuale.

Nel suo approfondito esame, la Corte si è così soffermata nell’analizzare, con rilievi critici, gli istituti che meglio potrebbero adattarsi al caso di specie, quale il ricorso all’equità fino all’esercizio del potere di esecuzione in forma specifica ex art. 2932 c.c., grazie al quale il Giudice, in sostanza, potrebbe addirittura sostituirsi alle parti stesse così determinando, con sentenza, i nuovi termini del contratto.

Ritenendo in questa sede opportuno rinviare le considerazioni sul punto all’esame della Relazione stessa, ed ai dubbi ed alle problematiche sollevate dalla Suprema Corte in merito all’applicabilità di tali istituti, appaiono senz’altro persuasivi i rilievi conclusivi che sottolineano l’esigenza che il Giudice si attenga, ai fini della sua decisione, ad elementi rigorosamente espressi dal medesimo regolamento contrattuale, senza ricorrere a un metro casuale, soggettivo o arbitrario.

A tal fine il magistrato dovrà senz’altro valutare con attenzione anche l’attività di contrattazione svolta dalle parti prima dell’interruzione delle trattative inerenti il processo rinegoziativo, potendo residuare da esso rilevanti elementi per decidere: onde l’esigenza di adoperarsi nelle trattative in modo corretto e secondo buona fede.

Alla luce di quanto sopra e delle indubbie difficoltà che il Giudice potrebbe incontrare nel sostituirsi alle parti ai fini del rispetto dell’obbligo di rinegoziazione, è lecito presumere che, dal lato pratico, i Giudici di merito intensificheranno il ricorso alla mediazione delegata, invitando le parti ad incontrarsi avanti ad un mediatore per tentare un componimento bonario e così riequilibrare il rapporto negoziale.

5. Rilievi conclusivi.

L’eccezionalità dell’evento epidemiologico che ci ha visti tutti coinvolti e che ha decisamente stravolto le nostre abitudini di vita e lavorative, deve quindi indurre a ponderare accuratamente ogni decisione in merito all’avvio di un eventuale contenzioso quantomeno al fine di procedere nelle dovute forme.

Come sottolineato dalla stessa Suprema Corte, infatti, quest’ultima è in pratica intervenuta a ribadire e rafforzare un principio dalla medesima già individuato in svariate precedenti pronunce, con le quali aveva inteso, in pratica, sopperire ad una “lacuna” dell’ordinamento.

Quest’ultimo infatti, quantomeno in via generale, non prevede alcuna disciplina convenzionale del “rischio da sopravvenienza”, se non altro per i casi in cui, riportandosi alla Relazione in commento, non sia opportuno procedere allo “smantellamento” del rapporto contrattuale (attraverso la risoluzione del medesimo ad esempio) ma alla “sua messa in sicurezza sul crinale di un riequilibrio reciprocamente appagante delle prestazioni”.

D’altra parte, è altresì indubbio che l’intervento della Suprema Corte aprirà la strada ad un vivo dibattito, anche nelle aule dei Tribunali di merito, destinato ad incidere nell’ambito di temi ampiamente discussi fin dalle prime settimane delle pandemia, con particolare riguardo per la sorte dei contratti in essere ed alla loro rinegoziabilità tra le parti (si pensi solo all’ambito delle locazioni commerciali).

Tali temi, rispetto ai quali ai quali talvolta si erano ipotizzate soluzioni o avanzate considerazioni di varia natura, inizialmente svigorite dalla paventata transitorietà dell’emergenza sanitaria in corso, si assumono ora di rinnovata attualità essendo evidente che, decorsi ormai molti mesi dai primi effetti della pandemia, difficilmente quest’ultima può ora ritenersi “temporanea”, essendo purtroppo destinata, di tutta evidenza, a manifestare i propri effetti in futuro per un periodo tutt’altro che trascurabile.

(A cura dell’Avv. Giulio Fanti – Il  presente articolo è la riproduzione della Circolare inviata ai clienti alla data di pubblicazione e non verrà quindi successivamente aggiornata. Le informazioni sopra riportate potrebbero quindi essere variate per effetto di disposizioni successive alla pubblicazione)